Assistenza con Badante al Malato di Alzheimer a Roma
Le badanti svolgono un lavoro a volte molto faticoso: hanno a che fare con i nostri familiari malati che necessitano assistenza, controllo e compagnia tutto il giorno.
Una badante di Roma che lavora con una persona malata di Alzheimer deve avere molte esperienze e preparazioni.
Fornire assistenza a una persona che soffre di morbo di Alzheimer o di altre forme di demenza può essere gratificante e stimolante: nelle fasi iniziali della demenza, un individuo può rimanere indipendente e richiedere pochissima assistenza, tuttavia, quando la malattia progredisce, i bisogni si intensificano, portando infine alla necessità di un’assistenza costante, 24 ore su 24.
Spesso le persone che assistono l’anziano e i suoi familiari dicono che uno degli aspetti più sconvolgenti del morbo di Alzheimer sono i cambiamenti che provoca nel comportamento.
Prendersi cura di una persona malata di Alzheimer è, a ben vedere, un impegno a tempo pieno che richiede qualità umane e organizzative non comuni.
La badante, convivente o a ore, dovrà imparare a capire le esigenze del suo assistito anche quando questo non sarà in grado di esprimerlo e dovrà essere dotata di molta pazienza e sangue freddo.
Con il tempo che andrà sempre avanti, la badante non potrà perderlo di vista un attimo, dovrà aiutarlo a mangiare, vestirsi, alzarsi dal letto e coricarsi, a prendere le medicine, fare gli esercizi per la memoria se previsti dal suo piano terapeutico, confortarlo nei momenti di angoscia acuta.
Il paziente Alzheimer ha improvvisi sprazzi di lucidità in cui torna, per forse pochi minuti, ad essere pienamente se stesso e in quei momenti prova sensazioni di disperazione e malinconia intense.
E’ l’aspetto più doloroso di questa malattia, più del vedere il congiunto non riconoscere i figli, i parenti, le persone che lo circondano.
In quel momento il paziente è in un mondo suo, fatto di oblio per cui non può fare i conti con ciò che è diventato o ciò che ha perso.
A volte è rabbioso o violento, ha comportamenti compulsivi o di apatia, ma non è se stesso, non è consapevole di quello che gli sta succedendo, soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia.
I momenti di lucidità sono invece i più devastanti per il paziente stesso e per chi è accanto a lui in quei frangenti.
L’Alzheimer è probabilmente la più crudele delle malattie, in tutte le sue forme.
Vedere il proprio congiunto cambiare sotto i propri occhi, diventare, a volte, aggressivo e cattivo, o apatico, incapace di riconoscere la famiglia porta a un senso di disperazione e solitudine che probabilmente nessun’altra malattia provoca nelle famiglie.
La ricerca oggi sta facendo qualche progresso, ma poiché le cause scatenanti della malattia non sono a oggi note, le terapie si concentrano sul suo rallentamento.
Dal 2020 è in sperimentazione un farmaco, l’Aducanumab, che agisce riducendo la quantità di proteina amiloide nei tessuti cerebrali delle persone affette dalla patologia.
L’accumulo di questa proteina è infatti un marker chiave dell’Alzheimer ed è coinvolto nel processo di degenerazione nervosa, sebbene in modi ancora in parte da comprendere.
Parallelamente a questo farmaco, al San Raffaele di Milano, è partita la sperimentazione su un farmaco, il GV-971 estratto da un’alga e già approvato in Cina che agisce sul microbiota intestinale.
Studi recenti hanno inoltre dimostrato che il sistema immunitario dei topi è in grado di rimuovere i peptidi beta-amiloidi, principale causa delle placche nel cervello che provocano l’Alzheimer, ma è ancora più attuale la dimostrazione di come questo avvenga anche negli esseri umani: aumentando la risposta immunitaria dell’organismo potrebbe essere possibile curare i sintomi della patologia neurodegenerativa.
Questo è quanto è emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Rejuvenation Research.
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