Case popolari a Roma: la badante può subentrare in luogo della persona assistita?
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La persona legata da un rapporto di lavoro subordinato all’assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica non può succedere nel rapporto di locazione alla morte di questi.
È quello che stabilisce in una sua sentenza la Suprema Corte di Cassazione: nel caso di morte dell’assegnataria di un alloggio di edilizia economica e residenziale pubblica, non subentrano nel diritto di godimento, tra gli altri, “il convivente di fatto” nel caso di un anziano non autosufficiente e della sua badante convivente, badante ad ore e badante di condominio.
La L.R. Liguria n. 10 del 2004, art. 12 va infatti interpretato nel senso che il “convivente di fatto” ivi previsto sia soltanto il convivente more uxorio poiché depongono in tal senso l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica e l’interpretazione finalistica: dal punto di vista letterale, l’espressione “convivente di fatto” compare in una pluralità di testi normativi, sempre quale sinonimo di “convivente more uxorio”, ma il rapporto di servizio o di lavoro domestico esula dal novero delle convivenze di fatto; dal punto di vista sistematico, la L.R. Liguria n. 10 del 2014, art. 12, nell’elencare gli aventi diritto a subentrare nel diritto di godimento dell’alloggio, inserisce il “convivente di fatto” subito dopo il coniuge, e subito prima dei figli: il che rende evidente l’assimilazione, nella intenzione del legislatore, della convivenza di fatto al rapporto di coniugio; dal punto di vista finalistico, infine, la ratio delle norme sul diritto dei familiari dell’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblico a permanere nel godimento dell’immobile, dopo la morte dell’assegnatario, è la solidarietà familiare ed il diritto alla casa, ratio insussistente rispetto al coabitante per ragioni di lavoro, di servizio o di ospitalità.
La mera coabitazione per esigenze lavorative, infatti, non dà luogo ad un consorzio familiare, e non legittima l’equiparazione del dipendente ai membri della famiglia.
Sembra chiara e priva di lacune la decisione della Corte, occhio dunque ai furbetti, non sempre farsi ragione è la via più semplice per fare giustizia, e non sempre la convivenza – pur essendo lunga – comporta necessariamente un “debito” come quello di cui si discorre.
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