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“Meno RSA e più servizi!”, l’indagine ISTAT su Roma

Noi di AES DOMICILIO, attenti a tutte le voci che si pronunciano in merito all’argomento “badanti” ci teniamo a tenere presente anche l’opinione e il punto di vista di chi normalmente non riceverebbe la giusta risonanza delle proprie parole. Riportiamo, infatti, una interessante intervista (di C. Ludovici) al mons. Paglia il quale si esprime con voce lucidissima sull’argomento badanti.

Gli anziani e la cura di questi rappresentano temi per Lei particolarmente cari e attuali, soprattutto alla luce delle drammatiche carenze evidenziate dalla pandemia. Quando e come gli anziani sono diventati – per dirla nel peggiore dei modi – “un problema”?

Se mi consente le rovescio i termini: quando l’assistenza è diventata un drammatico problema per gli anziani? Le rispondo che la pandemia ha svelato in modo impietoso quanto era già chiaro prima a chi si interessava degli anziani: viviamo in un sistema totalmente sbilanciato verso le cure residenziali, case di riposo e Rsa, che peraltro riescono ad assistere poche centinaia di migliaia di disabili, mentre l’orizzonte epidemiologico di anziani con problemi di mobilità, di perdita delle capacità di svolgere attività della vita quotidiana, di barriere architettoniche, sono milioni! E vivono tutti a casa.

La pandemia ha rivelato che questa costruzione assistenziale, evidentemente priva di un pensiero strategico, è crollata coi primi venti, vittima certamente del coronavirus ma anche della intrinseca insostenibilità dell’approccio residenziale inteso come unico supporto offerto dal sistema.

Quali sono le principali criticità nell’attuale sistema di vita e di cura degli anziani non autosufficienti?

Quel che le accennavo, il monopolio “residenziale”. Che non solo non coglie le dimensioni del problema, ma non contempla un insieme minimo di condizioni che aiuterebbe tanto chi è anziano a vivere e rimanere presso la propria abitazione. L’indagine Istat rivela inoltre che almeno 1, 2milioni di over 75 vivono a casa con gravi difficoltà motorie e senza aiuto alcuno e di questi 1 milione vivono soli o con il proprio coniuge anziano.

Il supporto sociale per costoro è la vera “cura” che dobbiamo offrire, senza medicalizzare tutto ma con la intelligenza di offrire una valutazione, un monitoraggio, un minimo di compagnia, di aiuto domestico nelle pulizie, nella spesa, nell’alimentazione, nella introduzione di un digitale capace di mettere in comunicazione e di prevedere emergenze e difficoltà. Senza di questo la vita di un anziano costretto in casa dalle proprie difficoltà diverrà un declino inarrestabile verso il pronto soccorso, i ricoveri, la istituzionalizzazione.

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Lei ama parlare dell’urgenza di un “nuovo Umanesimo”: in questo contesto, quale dovrebbe essere il posto degli anziani? E che ruolo dovrebbe avere e riconquistare la famiglia nei confronti di questi?

Com’è noto in questi ultimi decenni è sorto un vero “nuovo popolo di anziani”. Si tratta di decine di milioni di persone. In Italia gli ultrasessantacinquenni sono 14 milioni. E’ un frutto straordinario del progresso permettere di vivere venti, trenta anni più rispetto alle generazioni passate. Ma il problema è che non si sa bene per fare cosa e soprattutto come viverli. La vecchiaia è sentita come un naufragio. C’è bisogno di una nuova visione antropologica, appunto, di un nuovo umanesimo, che aiuti a comprendere e quindi a dare un senso a questi lunghi anni da vivere. Potremmo dire che si tratta di “inventare” la vecchiaia per questo nostro tempo.

Nel suo recente dialogo con Luigi Manconi (“Il senso della vita”, Einaudi 2021), in cui dense pagine sono dedicate al tema degli anziani, questi avverte che una maggiore presa in carico da parte della famiglia nei confronti dei suoi anziani rischia di portare a un sacrificio del ruolo sociale e professionale della donna. Come si potrebbe evitare questo?

Fa parte della nuova visione umanistica anche la scoperta dei diritti degli anziani e dei doveri della società verso di loro, dell’intera società e non solo delle singole famiglie. Il piano che abbiamo presentato al Presidente Draghi prevede, ad esempio, la creazione di una rete di relazioni nel quartiere, per evitare la solitudine degli anziani, oltre che l’impiego di nuovi operatori socio-sanitari che se ne prendano cura e che siano di aiuto alle famiglie, permettendo alle donne di non rinunciare al lavoro. Si prevedono un numero adeguato di “centri diurni” per permettere la semiresidenzialità della cura.

Sempre nel Suo dialogo con Manconi, questi afferma che, per garantire agli anziani adeguata assistenza ed evitare che si ripetano gli errori commessi, bisognerebbe tra l’altro aumentare i posti in Rsa. Lei cosa ne pensa?

Penso che occorre, al contrario, bilanciare aumentando sostanzialmente l’assistenza domiciliare. Regioni e cittadini spendono annualmente 12 miliardi per le sole Rsa. Per la Adi, necessaria a milioni di anziani, si stima non si arrivi ai 2 miliardi. Non mi sembra ci sia altro da aggiungere.

Le badanti, altro pilastro dell’attuale sistema di assistenza agli anziani, tuttavia lavorano spesso in condizioni di sfruttamento e sofferenza. Cosa suggerisce per loro?

Gli assistenti familiari vanno formati, certamente per la lingua, gli usi e la cultura del nostro paese, vanno monitorati ma anche garantiti, resi visibili in un processo di emersione non solo fiscale, ma anche umano e civile.

L’assistenza domiciliare professionale, quella che dovrebbe essere garantita dal sistema socio-sanitario, ha svelato tutte le sue debolezze e insufficienze. Come crede che dovrebbe, questa, essere rinforzata e potenziata?

Certamente esiste un imbuto formativo di dimensioni drammatiche che riguarda medici, infermieri ma anche e soprattutto i cosiddetti Operatori socio sanitari (Oss). Stimiamo che la nostra riforma richiederebbe almeno 100 mila posti di lavoro solo per questa figura professionale. Esiste anche però un altro problema, quello di rovesciare una prospettiva: la carriera di chi va a casa delle persone implica disagi e responsabilità di gran lunga maggiori di chi risiede in una struttura e come tale va promossa e incentivata economicamente e previdenzialmente, in un contesto assistenziale di alto livello e con possibilità di carriera autonome.

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